Intervista tratta dal mensile Rockerilla luglio/agosto 1995 di Andrea Dani


"DIAFRAMMA Il coraggio dei sentimenti"


Uno dei pregi maggiori della scrittura di Federico Fiumani è il sorprendente equilibrio tra l'aggressività nervosa e diretta del pop-rock e la vasta gamma di suggestioni, sfumature ed immaginari evocati che solo un approccio 'd'autore' consente. In ogni album, le musiche ed i testi, per quanto in certi casi nerborute dosi di rock elettrico e distorto, non rinunciano mai all'ardua impresa di parlare con sincerità e senza falsi timori dei sentimenti più vari, siano essi lievemente romantici o poetici.
Il rock italiano ha sempre visto, sopratutto in ambito indipendente, e dal post-punk in poi, certe espressioni suggestive dell'animo umano come la 'bestia nera', da evitare accuratamente gettandosi a capofitto in forme pi ù 'accettate', siano esse il sarcasmo quasi demenziale, la dissacrazione ironica, lo slogan politico o certo malsimulato esistenzialismo di seconda mano.
Il discorso dei Diaframma sa affrontare un brano come potrebbe essere "Fiore non sentirti sola", senza false paure, senza rischi di 'mielosa' retorica cantautorale, con una sincerità ed un rigore assolutamente unici.
La visceralità di questo approccio, l'onestà dei propri contenuti, la 'nuditá' a cui l'autore inevitabilmente si sottopone, sembrano fino ad ora aver premiato la linea, senza inutili intellettualismi o paraventi vari, regalandoci dischi dall'indimenticabile presenza 'umana'. Ecco perché oggi viene quasi da sorridere a pensare che qualcuno abbia 'scoperto' il rock d'autore, o che altri rivendichino con convinzione il proprio ritorno ad una espressione libera e rischiosa perché priva delle leziosità aggressive della polemica a tutti i costi...
- "Non è tardi": un ritorno ad un rock nerboruto dopo la dimensione intimistica di "Confidenziale"?
"Semplicemente "Confidenziale" era un disco un po' a sè. L'anno scorso ho fatto un tour in piccoli clubs, una sorta di vacanza dalla mia attività principale, che è e rimane quella dei Diaframma. Era quindi inevitabile che il disco venisse fuori, volutamente, intimistico. La dimensione era quella. penso comunque che fosse chiaro, anche ne "Il ritorno dei desideri", che i Diaframma si muovessero in un ambito rock. Non è una novità, la nostra musica è sempre stata rock, magari in varie forme e a seconda di quello che ogni volta ci andava di fare".
- Ed il confronto con "Anni luce"?
"Non è che quello fosse un disco particolarmente cantautorale. Sicuramente preferisco gli ultimi due dischi, mi sembrano superiori ad "Anni luce"".
- Il booklet riporta la storia del soldatino di stagno: un piccolo tentativo di 'concept'?
"I disegni mi piacevano molto e ho deciso di metterli, tra l'altro l'autrice è qui vicino, è la mia ragazza. Non è comunque un concept: come tutti i dischi dei Diaframma è soltanto una raccolta di canzoni".
- Di che cosa parla, precisamente, "Latitiante"?
"Innanzitutto mi piaceva l'idea della parola stessa: 'latitante'. Ne parlano spesso i telegiornali ed ho pensato che fosse un termine ricorrente nell'immaginario collettivo. Il testo è esplicitamente riferito a certe persone che si muovono nell'ambito discografico e che sono spesso 'latitanti'".
- Quanto è autobiografica una canzone come "Che voce è mai qusta"?
"Nelle mie intenzioni non lo era. Leggere la trua interpretazione nella recensione è stato per me un argomento di 'analisi'. Finché non l'ho letto non ci pensavo. Non è stato consapevole".
- "Paternità": che cosa ti ha spinto a questo gioco di finzione?
"Beh, anche per un fatto anagrafico, non potrei avere figli che se ne vanno. Semplicemente i ragazzi molto giovani che incontro ai concerti mi ispirano un po' sentimenti paterni, in senso molto lato, naturalmente. È un sentimento pieno di affetto che provo così, anche se non necessariamente in senso biografico. È comunque qualcosa che potrei eventualmente vivere, se non altro mi sono già, per usare un termine, 'parato i coglioni'".
- "Fiore" e "Di domenica" sembrano le uniche ballate che non hanno subito il trattamento schizofrenico e le esplosioni elettriche del resto del disco.
"Spero di dare sempre molta attenzione alla melodia, e penso che questa la si trovi anche negli altri brani. Direi che "Di domenica" non esula da un trattamento abbastanza schizofrenico, soprattutto nel finale. L'idea di certe paranoie domenicali è resa bene dalla chitarra impazzita nel finale. Sono comunque due brani che mi piacciono molto e che spero conquisteranno anche il cuore del pubblico".
- Rispetto alle strutture ed alle soluzioni più 'scarne' di "Anni luce", "Non è tardi", con la presenza dei due chitarristi, presenta un suono più ricco...
"Mi sembrava che la mia musica avesse bisogno di un'altra chitarra per farla viviere in modo più autonomo e più pieno. Penso che le canzoni avessero bisogno del lavoro delle chitarre, ho lavorato con due chitarristi, uno più schizoide nello stile, l'altro più melodico".
- Tu hai attraversato un'ampia fetta del panorama musicale italiano e della storia del rock nel nostro paese. Come giudichi, alla luce delle tue esperienze, la situazione odierna?
"È molto importante che qualcosa venga fuori. Sarebbe meglio se fosse uscita dieci anni fa perché ne avremmo beneficiato tutti, con il vantaggio della novità. È quasi inevitabile, siamo sempre stati un po' anglofili e un po' pecore ad andare dietro ai modelli dell'estero. Adesso negli USA, nei primi posti delle classifiche, ci sono i gruppi alternativi e quindi, automaticamente, le major, che sostanzialmente sono tutte in mano al capitale straniero, cercano di fare altrettanto in Italia. Buoni gruppi rock cene sono sempre stati, ma non sempre hanno goduto della dovuta attenzione, adesso sembra di sì. bene, fortuna. Però è sempre una cosa che viene dall'alto, è l'industria discografica che punta le antenne quando dall'estero arrivano certi segnali".
- Sembra che per i nuovi gruppi 'famosi' italiani, a parte eccezioni, la gavetta non sia d'obbligo... quali possono essere i rischi?
"Io la gavetta la sto facendo ancora adesso... (risate). Speriamo venga fuori qualche esperienza meritevole di attenzione. Probabilmente il successo di gruppi come i Litfiba ha aperto le porte un po' anche agli altri".
- In che misura accetti la tua fama di rocker-poeta ed in che modo invece ti racchiude nella gabbia del cantautorato?
"Non mi racchiude minimamente. Fra l'altro, proprio oggi che si inizia a parlare di rock d'autore, io lo faccio da tanti anni, per cui sarebbe al limite una gabbia dorata... Scherzi a parte, non è una gabbia, è la mia dimensione, in cui mi muovo bene e che spero alla gente interessi. Può diventare una moda, ma non mi infastidisce. Se è una moda che paga, bene".
- Puoi chiarirci la tua posizione con la Abraxas?
"Sono legato da un contratto biennale per due dischi. Questo è il primo e per ora mi interessa puntare tutte le mie energie su questo album in cui credo moltissimo: faremo molti concerti e ci sono buone strategie promozionali. Sono fiducioso per il futuro e spero di poter continuare a fare questo mestiere in libertà, autonomia e voglia di fare".
- Come è finita con Contempo?
"Preferisco non parlarne, ci ha pensato il mio avvocato...".
- Quanto ha venduto "Anni luce"?
"Discretamente, non ci lamentiamo. Preferisco restare sul vago, anche perché adesso c'è una ridistribuzione di tutto il catalogo da parte della Flying Records, per cui le cifre esatte non si sanno. Diciamo che ancora non sono ricco. Spero che quest'ultimo disco superi le diecimila copie".
- Quanto paghi per la visceralità della tua musica, per il tuo evitare slogan facili, banalità più o meno politiche, per la 'naiveté'del tuo approccio... In Italia la via più breve al successo è quella che procede per approssimazioni e false trasgressioni, sempre con le spalle ben coperte.
"Penso di avere pochissimo da aggiungere a quello che tu hai detto. Sono d'accordo. Forse a quest'ora, da un punto di vista numerico le cose mi andrebbero meglio. In quindici anni di attività ho avuto due o tre occasioni di quelle che pochi avrebbero rifiutato, per 'diventare famoso'. Finora ho rifiutato perchè pensavo che avrei smesso di divertirmi ed il gioco non valeva la candela. Continuo a preferire la logica del divertimento ad altre logiche. A questo punto, se vuoi, è anche una scelta di vita, ma mi va bene così".
- Come si è svolto il lavoro in studio?
"Il tutto è durato quindici giorni, compreso il missaggio. Il disco l'ho prodotto io ed abbiamo lavorato secondo il mio metodo: molto e tutti i giorni, quattordici ore al giorno tutti i giorni. Entrando naturalmente in studio con le idee già chiare ed i musicisti già preparati. Molto velocemente, in piena armonia e divertendoci anche molto".