Articolo tratto dal settimanale lIl Mucchio Selvaggio- 18-24 gennaio 2000 - di Federico Guglielmi e Fabio Massimo Arati.

DIAFRAMMA Le radici del rock d'autore

Intervista di Federico Guglielmi + copertina del settimanale + articolo di Fabio Massimo Arati

Sono ormai vent'anni che Federico Fiumani governa con mano ferma la nave Diaframma, in un percorso tortuoso ma a suo modo lineare, fatto di improvvise modifiche di equipaggio, bruschi cambiamenti di rotta e approdi più o meno azzardati presso i porti di numerose etichette; anni che il papà del rock d'autore ha vissuto con grande intensità, scandendoli con infiniti concerti nei quattro angoli della Penisola e una ricca produzione - undici album di studio, più un live acustico e due raccolte di materiale raro e inedito - la cui ultima tappa è il recentissimo"Coraggio da vendere" (n. 379), nelle foto del quale il Nostro si presenta ironicamente (ma non troppo) abbigliato da Muzio Scevola. Una simile carriera, e soprattutto un simile personaggio, meritavano iun'adeguata celebrazione: chi potrà biasimarci, se noi l'abbiamo allestita con una copertina audace quanto quella del disco e con cinque pagine fitte di parole?

Ho conosciuto Federico Fiumani all'epoca dell'uscita di "Pioggia", il singolo d'esordio dei Diaframma, e da quel giorno ormai lontano ci siamo incontrati una ventina di volte. È forse per via di tale consolidato rapporto che la nostra chiaccherata, svoltasi in una stanza della redazione del Mucchio circa trenta ore prima della fine degli anni '90, non ha conosciuto momenti di pausa o di imbarazzo, neppure quando le domande sono andate a toccare argomenti scomodi se non addirittura spinosi; lasciando emergere la figura di un musicista e un uomo che può permettersi di camminare a testa alta, senz'altro più che meritevole del ruolo di cult-hero assegnatoli dalle sue vicende artistiche e personali.

Il titolo del nuovo album è "Coraggio da vendere": presumo che esso nasconda un significato particolare.
- Si chiama così uno dei miei brani preferiti del disco, che oltretutto è quello che, come idea, sembraqva il più idoneo a intitolare l'intero lavoro. Inoltre, come ho scritto anche nelle note di presentazione per la stampa, mi offriva lo spunto per ricoprire un altro ruolo, per vestirmi da personaggio storico: Muzio Scevola è il classico eroe senza macchia e senza paura, per il quale la coerenza è fondamentale.

Nel retrocopertina è ritratto con la mano fasciata e disteso sotto un albero. È morto o dorme?
- Nessuna delle due cose: è sofferente e medita sul suo gesto.

Metafore a parte, credo che questoa scelta abbia anche un risvolto ludico, come quando in "Anni luce" hai ricalcato fedelmente l'immagine di The Freewheelin' Bob Dylan.
- Certo, giocare con le citrazioni mi è sempre piaciuto. E poi una copertina deve catturare l'attenzione... va bene anche se fa sorridere.

Questo tuo lato ironico è piuttosto strano: non mi risulta che chi conosce solo la tua musica ti veda come una persona spiritosa.

- Che devo dirti? Ho sempre avuto un amore particolare per la musica triste e struggente. Commuovere con le canzoni è bellissimo: non c'è nulla di male se divertono, ma evidentemente non è nella mia natura o forse sono più portato per altre emozioni. Comunque non mi sembra che ai nostri concerti la gente si intristisca o si annoi.

Tornando al titolo, credi ci voglia "coraggio da vendere" per continuare ad essere musicisti alla tua maniera?
- È un'altra chiave di lettura plausibile, soprattutto per chi conosce nel dettaglio la mia storia: senza dubbio per me non è facile andare avanti essendo una voce libera, e ottenere certi risultati facendo a modo mio solo le cose che mi piacciono.

Scusa, ma questo potrebbe suonare come un alibi, ma fare di necessità virtù: ti autoproduci perché nessuno ti produce.
- Sì, ma per smentire la teoria basta la considerazione che ho sempre agito così, anche quando avevo un contratto major o comunque mi appoggiavo a strutture di un certo livello. Ci tengo però a precisare che la mia è un'autoproduzione atipica: la Self, che mi distribuisce, mi paga un anticipo sufficiente a coprire le spese del master, e in pratica con le percentuali "da licenza" sulle vendite dei cd guadagno più di un normale artista sotto contratto. Infine, dopo tre o cinque anni, ritorno ad essere proprietario dei master: ci tengo ad averne il maggior numero possibile, perché costituiscono il patrimonio artistico e quindi economico su cui poggia la mia carriera.

Sei proprio sicuro che questo sia meglio di un classico vincolo discografico?
- Visto che posso contare su una certa sicurezza di vendite, direi proprio di sì. Però è ovvio che non sarebbe male se ci fossero altre opportunità che ora come ora non ci sono, come poter produrre un video promozionale da 25/30 milioni...

Ma queste chances non si trovano o sei tu che non le cerchi?
- Basilarmente non ci sono: non firmo il primo contratto capestro che mi viene proposto, non fosse altro perché purtroppo l'ho fatto in passato. In questo mestiere serve il successo, grande o piccolo: i Current 93 non puntano ai riasultati commerciali dei Rolling Stones, ma è ovvio che mirano comunque a vendere dischi e ad allargare la loro audience.

Non sei un po' frustrato? In fondo i Diaframma hanno fatto la storia della nuova musica italiana, però sono altri a raccogliere i frutti della loro semina.
- La frustrazione c'è, è chiaro. Le case discografiche ritengono che un nuovo gruppo abbia davanti a sé pèotenzialità infinite, come un pugile imbattuto, mentre dei Diaframma si conoscono ormai i limiti artistici e di mercato. Io, però, non mi lamento: ho il mio pubblico, riempio i locali dove suono, i concerti ottengono successo e i miei dischi si trovano nei negozi; insomma, vado avanti per la mia strada. All'epoca di "Pioggia" mi sarebbe parso incredibile poter vivere dignitosamente della mia musica per vent'anni, per cui posso dire che è andata bene.

A proposito dei dischi nei negozi: ora come ora, che cosa è reperibile?
- I tre distribuiti dalla Self - "Scenari immaginari", la ristampa di "Boxe" e "Coraggio da vendere" - sono disponibili dappertutto, mentre presso catene come Nannucci è ancora possibile acquistare, per di più a prezzi molto bassi, lavori dei '90 come "Anni luce", " Non è tardi" e "Confidenziale". I due album per la Ricordi sono stati recentementeripubblicati in serie economica, e le ristampe di "Siberia" e "Tre volte lacrime" - esaurite per ben due volte - dovrebbero essere di nuovo in circolazione in primavera. I miei dsischi non sono affatto introvabili come alcuni credono, c'è solo bisogno di un pizzico di impegno.

Nella tua ventennale carriera, quando hai pensato di essere arrivato ad un punto cruciale?
- All'epoca di "Siberia" ci furono alcune settimane di grandissimo interesse, in cui sembrava che sarebbe dovuto accadere chissà che: un sacco di gente ci cercava, eravamo primi in classifica in tutte le radio rock... Un altro momento del genere è stato quando mi sono legato alla Ricordi, ma anche lì è durato poco: mi ricordo quando Vince Tempera mi disse che un altro eventuale disco assieme sarebbe dovuto essere "commerciale". Usò proprio il termine commerciale, e infatti il rapporto si è interrotto.

E adesso, col senno di poi, come ti comporteresti?
- Sinceramente non credo che la mia musica sia mai stata difficile all'ascolto. "Coraggio da vendere" non è un album ostico, anche per una persona che non ha mai sentito prima i Diaframma. Forse, se allora avessi saputo cantare come ora, il problema non si sarebbe posto.

Di sicuro le tue canzoni sono più immediate di quelle di artisti più giovani che, bene o male, si sono ispirati a te e che hanno più successo.
- Magari sì, ma questo è legato a questioni di tendenza, di suono "alla moda". E i Diaframma non sono certamente trendy.

A tuo parere, nell'attuale "rock d'autore", l'impronta dei Diaframma è molto marcata?
- Sul piano artistico non mi sembra, ma credo che per noi potrebbe valere un discorso come quello dei Ramones: "forse, senza di loro, la musica di oggi sarebbe stata diversa". È difficile ipotizzare che direzione avrebbe preso il rock italiano se i Diaframma non fossero esistiti. Non si può negare che siamo stati tra i primi a proporre un certo tipo di canzoni, ma non so se abbiamo influenzato qualcuno.

Fin dall'inizio avete tentato di unire rock alternativo e liriche in italiano. A vent'anni di distanza, ti rendi conto di di quanto questo approccio sia stato coraggioso e originale?
- Sì, adesso sì. Nei primi anni '80, però, non ne ero assolutamente consapevole, la mia sola ambizione era quella di scrivere testi in italiano. Ero molto incoraggiato dal mio professoredi lettere del liceo, e ritenevo che questo mio talento - ero l'unico in tutta la scuola ad avere dieci in italiano - potesse interessare ad altri: come sai, sull'onda di questo interesse ho anche pubblicato in proprio alcuni libretti di poesie, cose molto ingenue che adesso non fare ipiù. È vero, si è trattato di un'esperienza che nel suo piccolo ha segnato un'epoca, pur con tutti i limiti che emergono esaminandola a posteriori.

Cosa rappresenta per te ogni nuovo disco?
- Sono emozioni sempre diverse, che si stemperano negli anni: alla fine rimane l'album, che dice comunque qualcosa di me, e non quello che lo ha generato. Per questo motivo mi è più facile parlare dell'ultimo lavoro, che a differenza degli altri è nato da un impulso improvviso e molto forte: stavo vivendo un periodo un po' noioso, non succedeva granché e questo mi faceva anche girare abbastanza le scatole. Ho pensato che l'unica cosa sensata fosse incidere, così ho recuperato alcune vecchie canzoni mai pubblicate - tra cui "Anima sensibile" e "Le navi del porto" - e qualche abbozzo, e in pochissimo tempo mi sono trovato in mano tutto il materiale necessario per un nuovo album.

Cosa provi a riascoltare i vecchi lavori?
- Ritrovo le emozioni da cui sono scaturiti, anche se non con la stessa intensità del momento in cui le vivevo. All'epoca di "Non è tardi", ad esempio, ero innamoratissimo, nel pieno della fase di idealizzazione della persona amata: non so fino a che punto si avverta nei pezzi, ma io mi sentivo così. Lo stesso è accaduto in "Tre volte lacrime", mentre "Boxe" rappresentava quasi un esorcismo per la difficile situazione discorgafica da cui mi ero appena liberato. "In perfetta solitudine", invece, rifletteva un periodo di grandi aspettative, mi ricordo che ero molto felice.

Secondo te, quali sono i tre capitoli-chiave della vicenda Diaframma?
- Senza dubbio "Siberia": è stato il primo album e l'inizio di tante cose, non solo per me. Poi direi "Gennaio", l'ep del 1989, il primo che mi ha visto impegnato alla voce: la maggior parte dei miei estimatori mi conosce da "Gennaio" in avanti, e forse è anche per questo che non ho attuato il progetto di una temporanea reunion con Miro Sassolini, il cantante dei primi tre dischi. Il terzo potrebbe essere "Coraggio da vendere", o almeno così spero.

C'è qualche ragione particolare che te lo fa pensare?
- Una copertina del Mucchio è un segnale importante e concreto, e nel nostro ambiente si vive anche di queste cose; inoltre, mi sono legato a un'agenzia che per un anno mi ha garantito un discreto numero di concerti. Sullo spessore artistico del disco, invece, preferisco glissare: non sarei obiettivo, i miei "figli" mi piacciono tutti.

Qual è, a tuo modo di vedere, l'umore generale dell'album?
- Non è un disco particolarmente malinconico. Anche se forse più di altri evidenzia un certo rimpianto per la giovinezza. Il tema più affrontato è quello del tempo, che passa, magari perché ho quasi quarant'anni e sarebbe drammatico se non mi ponessi il problema. Nei precedenti er osempre un pazzo innamorato di qualche donna reale o immaginaria.

Ti senti invecchiato, insomma?
- Non ho più vent'anni, e mi sembrerebbe sciocco far finta che non sia vero. Però mi sento invecchiato bene, anche se ora per mantenermi in forma ho bisogno di footing e ginnastica e devo limitare le notti brave.

Ti ritieni sempre un "cantautore punk"?
- Sì, nel senso che mi sforzo di affermare la mia individualità in contrasto con i comportamenti di massa attualmente imperanti. Che non copio, cioè, il compito - musicale, in questo caso -degli altri.

Non hai mai pensato di sfruttare la tua solida reputazione di autore e l'essere un personaggio di culto per ottenere una più ampia notorietà, magari componendo per qualcuno o avviando collaborazioni con colleghi più "visibili" di te?
- Credo abbastanza nella casualità, e non mi va più di tanto di forzare la mano al destino. Non vivo da eremita, ma forse la mia indole un po' schiva mi trattiene dall'espormi in questo senso. Nel mio campo la sfacciataggine può aiutare parecchio, ma io non ne sono granché dotato. Almeno nei rapporti pubblici e professionali.

Le tue canzoni sono universali, nel senso che non presentano apparenti legami con tempi e situazioni: potrebbero essere state scritte trent'anni fa o potrebbero esserlo fra trenta.
- Sì, me ne sono accorto, ma non è dovuto ad una mia scelta: anche nella musica cerco emozioni solo in cose vecchie, classiche. Una band a cui attitudinalmente vorrei somigliare, anche se non faccio nulla per ottenere questo scopo, è l'Equipe 84: quando avevo otto o dieci anni mi colpiva enormemente, e le suggestioni che si avvertono a quell'età ti rimangono addosso per tutta la vita. Io cerco di rincorrere quel genere di sensazioni e coltivare quella capacità di entusiasmarsi che è tipica dei bambini.

Sei mai stato tentato di scrivere liriche più particolari, legate a situazioni specifiche e identificabili?
- Penso che i miei testi abbiano un taglio cinematografico: hanno la pretesa di essere immaignati anche dal punto di vista visivo, come la sceneggiatura di un film. Più che l'aspetto letterario mi interessa quello cinematografico. Una canzone può derivare dagli spunti più diversi, anche se strani... ti ricordi quel brano dei Beatles, "She came in through the bathroom window", il cui titolo significa
"Lei entra dalla finestra del bagno"? Beh, "Specchio delle mie brame" è nato dalla fantasia assurda di un super-eroe della Marvel che irrompe all'improvviso in casa mia da una finestra. L'idea di "Piccola ladra" viene dal film "Il monello" di Charlie Chaplin, dove c'è questa foto di una bambina con gli occhi già furbi, maliziosi. Poi ci sono tre o quattro episodi ispirati da una ragazza con cui, nei '90, ho vissuto una storia d'amore molto speciale.

Ti sembra di comporre sempre nello stesso modo?
- No, con il tempo ho cambiato un po' stile. Credo di essermi anche affinato, usando metodi artigianali: esercitandomi e non ritenedomi mai soddisfatto della prima cosa che mi viene fuori.

I Diaframma hanno vent'anni. Che farai, diciamo, nel 2010?
- Non guardo così avanti: penso al disco che sta per uscire, al tour di supporto che ne seguirà. Poi si vedrà, come sempre serenamente, e può darsi che succeda qualcosa di bello.

Di cosa ti occuperesti se decidessi di smettere con la musica?
- Non lo so: finché c'è la voglia di continuare, con una certa dose di incoscienza "punk", mi rifiuto di pensarci. Un tempo mi vedevo professore di italiano, ma ora... boh! Non è casuale che la mia "Come sarò tra vent'anni", contenuta ne "Il ritorno dei desideri", non abbia parole.

Come, in quest'ultimo disco, "Il ritorno di Tom Verlaine".
- Vorrei davvero che Tom Verlaine tornasse presto a fare grande musica: lui è uno dei miei preferiti di sempre e il pezzo va letto come un augurio, nonché come una specie di tatuaggio indelebile che mi sono voluto fare mettendo il suo nome in una canzone.

Pochi musicisti dichiarano così esplicitamente la loro ammirazione per un collega.
- È giusto, a volte, mettere nome e cognome di qualcosa che mi piace per davvero. L'ho fatto tanti anni fa con Marisa Allasio (il brano omonimo è su "Tre volte lacrime", N.d.I.) e l'ho rifatto ora con Tom Verlaine. L'idea me l'ha data un altro artista che apprezzo molto, Mike Scott dei Waterboys: lui ha intitolato un brano "The return of Jimi Hendrix", e poiché Verlaine sta ai '70 come Hendrix ai '60 si può dire che ho voluto aggiornare il messaggio.

La tua popolarità di culto ha una cartina al tornasole nella presenza in Internet di una vasta schiera di fans. Segui ciò che ti riguarda in rete?
- No, non sono attrezzato per farlo. Però ho visitato il sito che mi è stato dedicato e mi sono divertito, l'ho trovato interessante.

Come mai non ti sei equipaggiato?
- Potrei risponderti "perché va di moda", ma non sarebbe vero; in realtà si tratta di un mezzo utilissimo, specie per quanto riguarda la posta elettronica, ma non è poi così indispensabile: se vuoi comunicare con qualcuno puoi sempre farlo senza bisogno dell'e-mail. La lettera, ad esempio, ha il suo rituale, e in giorni come questi dove tutto si consuma in fretta il rito di prepararne una con cura, imbucarla e attendere la replica può essere importante e anche indicativo della qualità del rapporto tra chi corrisponde. Di recente ho scritto una lunga lettera a Gianni Maroccolo, e lui mi ha risposto usando lo stesso mezzo e con pari attenzione. Mi è sembrato molto bello.

Come mai hai scritto a Gianni?
- Mi aveva chiesto una collaborazione a livello di testi per un suo prossimo disco solista. Ho preferito rifiutare l'offerta, ma ci tenevo a motivare la mia decisione anche con una serie di riflessioni su ciò che siamo stati negli anni '80 e '90.

Ecco una perfetta domanda conclusiva: cosa è rimasto, secodo te, della stagione del rock fiorentino?
- Innanzitutto, e non mi sembra poco, siamo rimasti noi: fisicamente e come operatori del settore musicale. È stata una scuola di vita molto importante, con valori e amicizie vere che sono rimasti tali anche se magari non ci si vede spesso come una volta. Inoltre, è rimasto un mucchietto di dischi di rilievo, che hanno detto qualcosa di diverso. E la nostra voglia di continuare, ciascuno a suo modo a dirlo.