Articolo di Alex-fu


"La curiosità"



La curiosità. La curiosità ci ha spinto fino alle soglie di una porta trasparente per cercare, al di là delle vetrine, un volto immerso in una folla di oggetti, statuine, dipinti. Un sapore assaggiato per la prima ed ultima volta un anno prima in un concerto memorabile. Un sapore inimitabile congelato in una manciata di dischi, servito fresco in un’unica occasione. La curiosità ci ha spinto, ci ha conquistato. Chiedersi dopo quindici anni cosa fosse rimasto, cosa fosse cambiato: un giardino fiorito o un deserto impietoso? Chiedersi cosa ci sarebbe stato oltre la soglia.
Abbiamo conosciuto un uomo curioso. Un uomo che si interroga, un uomo tratteggiato a matita che esplora un universo di colori, che si muove con circospezione in un contesto infestato da troppi “artisti” e pochi artigiani, intesi come persone che cercano di dare un corpo meraviglioso alle proprie idee. Un’opera inizia a nascere dalla scelta dei materiali, dall’accostamento di idee e oggetti. Nasce dallo spostare le cose, inserirle in un nuovo ordine che tolga loro la responsabilità dell’uso cui normalmente sono destinate. Così un uomo può facilmente essere di tabacco, un cane di legno, un volto di pietra pomice. Così un cantante può essere un pittore. O “semplicemente un creativo”, come scrive Ernesto De Pascale a proposito di Miro.
Abbiamo conosciuto un uomo curioso e creativo, dunque, interessato a sperimentare le reazioni, le combinazioni, gli effetti di straniamento che gli accostamenti più arditi sono in grado di provocare. Un’arte a tratti tattile, complessa. Come nel gioco di alcune piccole sculture che appaiono pesantissime alla vista ma in realtà leggerissime perché scavate nella pomice. Come nel gioco di Miro stesso, che in gioco si rimette continuamente, lavorando con materiali delicati la cui fragilità lo costringe a reinventare le proprie idee spesso in corso d’opera. Nessun percorso definito, quindi, nessun iter prestabilito; del resto, probabilmente, anche l’avventura con i Diaframma all’inizio significava mettersi in relazione con un nuovo e diverso “materiale”: la propria voce. Acuta, sussurrata, sanguigna, limpida, la voce è come una tavolozza di colori. Per realizzare un quadro bisogna scegliere le tonalità di volta in volta più adatte, esattamente come in un brano musicale bisogna trovare la sfumatura che ne renda le peculiarità emotive. Non accontentarsi delle conoscenze acquisite, degli assiomi. Sperimentare è conoscere, svelare, guardare il mondo con occhi un po’ meno assuefatti. E conoscersi, anche; osservarsi mentre si cambia, fissare tramite le proprie opere i punti cardine di questa direttrice di cui non si conosce la meta.
Nelle opere che ho visto ho ritrovato il lavoro di un uomo, come si diceva prima, curioso e creativo, che infonde nei materiali utilizzati tutto l’amore per le diverse sfumature del sapere, in un’opera che accosta materiali naturali a prodotti industriali (dal legno al poliestere, dal tabacco alla pomice, dal carboncino alla plastica); come a voler significare che l’amore per Dante si concilia perfettamente con la pop-art.