Monopoli, p.zza Vittorio Emanuele,15/07/2000


Recensione di Roberto Maggi apparsa sul sito www.uozap.com legato alla locale rivista "UOZ'ap?"


Dopo quasi tre anni di assenza i Diaframma di Federico Fiumani tornano a suonare nelle vicinanze di Bari: l'ultima volta era successo a Putignano e anche in quell'occasione si esibirono in piazza.
La band che animò la prima ora del "rock italiano" insieme, tra gli altri, a Litfiba, Neon, Gaz Nevada, Moda, si presenta sul palco, con quasi due ore di ritardo sull'orario previsto, in formazione ulteriormente ridotta, che ritorna al classico triangolo voce-chitarra, basso e batteria. I Diaframma tendono sempre più a identificarsi concretamente con il leader, uomo di grande conseguenza e da sempre renitente ai compromessi, qualità che, assieme alla grande sincerità e a un'umiltà che non è mai (falsa) modestia, hanno fatto sì che il pubblico che lo segue con maggiore attenzione ne abbia fatto un culto e una bandiera.
Dopo un'apertura da mozzare il fiato con L'odore delle rose e Gennaio, l'atipica scaletta prevede una sequenza di brani provenienti dall'ultimo lavoro, Coraggio da vendere, eseguiti di fila e senza interruzioni, quasi ad assolvere un dovere; il suono che viene fuori è una versione piacevolmente asciutta di qualcosa per cui non èstata ancora inventata una definizione migliore di quella di rock-wave cantato in italiano, tanto asciutta ed essenziale, anzi, da risultare a momenti troppo povera, semplificando eccessivamente la struttura delle canzoni (che in questo modo, però, si rivelano come nude, da amare con ancora più tenerezza). Comunque, nessuno fa più caso nemmeno a qualche sbavatura nelle esecuzioni quando Fiumani inizia a urlare quell'inconfondibile voce che sembra sempre sul punto di strapparsi nel microfono, intonando i suoi personali "classici", i gioielli artigianali lavorati alla luce della peculiare ispirazione di questo cantautore atipico e lunare: la poetica e l'eroismo involontari della vita quotidiana, lo straziante stupore di essere vivo e di poter amare di uno che, alla deriva in una generazione che ne ha persi tanti, si èaggrappato alla fender come a un legno galleggiante, la cui proverbiale rabbia di vivere ècome una bestemmia contro la sfortuna, uno che se sbaglia, sbaglia per eccesso di generosità, e si finisce per perdonargli qualunque cosa.
I classici, dicevamo: ne restano fuori molti, da Libra a Io amo lei a Manca l'acqua (d'altronde, i Diaframma hanno un repertorio quasi da fare invidia ai Pooh, e il concerto non è molto lungo), ma le versioni sfavillanti di Siberia, Tre volte lacrime e Un temporale in campagna consolano ampiamente di questo lutto, e il bis ci tramortisce addirittura, chiudendo con una sempre emozionante Amsterdam.
Peccato però che il pubblico, composto dalla solita piccola folla di sostenitori sfegatati ed entusiasti che si sono stretti con affetto attorno al palco, oltre a ragazzini sotto i dodici anni e famiglie a passeggio incuriosite che davano all'evento una divertente atmosfera da festa di paese, non fosse numeroso (probabilmente anche a causa di una promozione inesistente), sperduto, tra l'altro, in una piazza davvero troppo grande; i Diaframma sono un gruppo da club (può essere doloroso per qualcuno farsene capace, ma non riempiranno mai i palazzetti né, tantomeno, le piazze deputate al Festivalbar), e più che mai qui da noi: quando qualche illuminato promoter locale troverà finalmente spazi della giusta dimensione per dei musicisti di tale valore, anche fuori dalla bella stagione? Reso forse inquieto dalle lungaggini del service e dal riscontro non eccezionale, Fiumani non ricambia con il calore che il pubblico vorrebbe, distribuisce pochi sorrisi e ancor meno parole, confermando anche un carattere schivo a ogni comportamento da rockstar, foss'anche il rituale degli autografi o dell'omaggio di poesie: la voglia di contatto dei più giovani (la nota positiva, infatti, =E8 che ci sono molti ventenni o giù di lì) si infrange contro il portone chiuso dietro il quale, lo strumento ancora al collo, i musicisti si sono rifugiati alla fine del concerto. A noi, invece, non resta che disperderci mezzo tramortiti a gruppetti tra i bar, magari canticchiando arrochiti, in gola un groppo di gratitudine.