Recensione tratta dal settimanale IL MUCCHIO SELVAGGIO N.325 di Federico Guglielmi
"DIAFRAMMA Scenari immaginari"
Misteri del rock italiano: mentre cialtroni di varia forma e natura
ottengono contratti major che si traducono in lavori inevitabilmente condannati
alla quasi totale indifferenza, i Diaframma - che godono di un solidissimo
culto, raccolgono pubblico ai concerti e senza grande impegno promozionale
vendono comunque migliaia di copie di ogni loro album - sono in pratica
costretti all'autoproduzione. Colpa del carattere non proprio accomodante del
deus ex machina Federico Fiumani, o in generale della tendenza del mercato di
"serie A" a privilegiare gli artisti giovani? Chissà. Il risultato,
comunque, è che il compositore, chitarrista e cantante fiorentino, al
quale tutti riconoscono il merito dell'invenzione del rock d'autore, deve
sempre correre in salita con due zaini di pietre sulle spalle, mentre tanti
suoi figli (degeneri e non) vengono addirittura sorretti nel loro comodo
percorso in pianura.
Federico Fiumani, però, se ne infischia, e prosegue caparbiamente ad
impinguare la sua già ampia discografia con prodotti di qualità sempre
superiore alla media e sempre frutto genuino di una poetica inconfondibile:
sia nella scrittura, oscillante tra rock'n'roll, pop e ballate d'atmosfera,
che negli arrangiamenti, ora delicatamente classici ed ora imprevedibilmente
spigolosi. Il tutto accostato ad una voce dai toni tutt'altro che convenzionali,
interprete di testi sospesi per lo più tra esposizione visionaria e anche
rabbiosa di assortite quotidianità e malinconica ironia. Di tale personalissimo
stile, ormai modificabile solo a livello di sfumature, offre adesso una ulteriore
testimonianza questo "Scenari immaginari", che segue di due anni "Sesso
e violenza": undici canzoni dalle trame ricercate, ma solo a tratti sconfinanti
nel lezioso, tra i quali "Dammi tempo", "La mia timidezza",
"Annoiamoci" e "Dormi che è notte" sembrano quelli più ricchi di
forza suggestiva. Non potrà far certo male, anche solo per doveroso rispetto
nei confronti di chi le ha così appassionatamente composte, dedicar loro almeno
un (attento) ascolto.